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L’ordine del giorno #5. Il futuro del libro [27/10/2014]

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Intervista rilasciata da Gabriele Frasca a Roberta Scorranese per il Corriere.it in occasione del dibattito con Luca Sossella sul «Futuro del libro» al Future Forum di Napoli (25 ottobre 2014) (link all’articolo). Le due note sono state aggiunte per i lettori del nostro sito.

 

Il futuro del libro. Quali sono gli scenari di cui parlerà?

Per come la vedo io, non si tratta tanto di parlare di futuro, ma di dare un’occhiata al presente togliendosi una volta per tutte gli occhiali spessi con cui lo guardiamo, che sono quelli delle nostre abitudini, e delle nostre convenzioni. Vede, essendo ciascuno di noi formato nel suo passato, è proprio il presente a risultarci in più di un’occasione indecifrabile. E poi, come dice un vecchio proverbio, e per passare dalla vista all’udito, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

La questione, mi creda, è molto semplice. Siamo alla fine di un’epoca, e proprio perché le epoche si contrassegnano coi dati materiali, e gli strumenti impiegati per i processi culturali che ci contraddistinguono come specie. Siamo insomma alla fine dell’età della carta, non certo della carta; così come abbiamo ancora i nostri utensili di ferro, sebbene quella che chiamiamo l’età del ferro sia finita da un pezzo. Quando si diffuse la carta intorno al XIII secolo, beh sì fu una vera rivoluzione, che consentì la nascita di quella che poi è stata denominata la civiltà del libro. I codici pergamenacei erano molto costosi, per avere una biblioteca bisognava macellare un gregge. È ovvio che se li potessero permettere in pochi, i libri in cartapecora. E già la pergamena a suo tempo aveva contribuito a un incremento della lettura, rispetto al papiro, che era un supporto fragilissimo. E come se non bastasse, i mezzi che s’impiegano condizionano non poco le opere dell’ingegno umano. Senza la carta e la sua diffusione, che consentiva codici voluminosi e a poco prezzo, non avremmo avuto la Divina Commedia né il Decameron.

Quando poi si diffuse la stampa, lo sappiamo, non furono pochi gli umanisti che torsero il naso. Il libro manoscritto fra il XIV e il XV secolo aveva raggiunto un livello di perfezione massimo, e le grafie si erano via via regolarizzate. Rispetto a un bel libro manoscritto umanistico, ordinato e raffinato, il prodotto della stampa non poteva che risultare spiacevole all’occhio e volgare. Furono in molti, con l’avvento dell’«ars artificialiter scribendi», a levare al cielo le loro urla di raccapriccio. Era, dicevano, la fine della civiltà del libro: sappiamo invece che ne fu il rilancio, e un nuovo inizio.

Ora tocca al libro tipografico cedere il passo, e da più parti si levano gli stessi lamenti. Abitudini dure a morire, ovvio. Ma le abitudini muoiono con chi le ha. Del resto, una legge inderogabile che regola ogni prodotto di mercato, non solo i mezzi di diffusione della cultura, c’insegna che quando subentra un prodotto più economico e più resistente, è ben difficile che quello vecchio più perituro e costoso non finisca prima o poi in soffitta. L’avanzata dell’e-book non potrà essere arrestata, che piaccia o meno. Il che non vorrà dire che non esisteranno più libri cartacei. Ce ne saranno ancora, in tirature limitate, per i collezionisti (anche all’epoca della stampa restava un nucleo duro di appassionati di manoscritti). Come c’è ancora il vinile per chi ama il vecchio disco. Solo che quando si compra un vinile, beh, lo s’infila velocemente nella propria collezione… e poi si ascoltano i brani in mp3. No?

 

Come vede lo scontro editoria tradizionale/Amazon?

Intendiamoci prima su che cosa sia l’«editoria tradizionale». A guidare la cordata contro Amazon mi pare ci sia la casa editrice Hachette. Ora: lei ha presente che cosa pubblica Hachette? Da scrittore, e non da studioso della letteratura e dei media, le dico che non mi sento rappresentato da una casa editrice che inonda le edicole di dispense con cui ciascuno di noi può costruirsi i modellini degli aerei da combattimento, delle macchine della polizia, dei galeoni spagnoli o dell’arca di Noè. L’editoria tradizionale oramai è un carrozzone, e lo è per lo meno, in Europa, e anche qui in Italia, dagli anni Ottanta, quando non a caso si è assistito alla nascita di monopoli editoriali, che hanno imposto dappertutto i loro prodotti, schiacciando inesorabilmente la concorrenza. Perché pensa siano morte le vecchie librerie di un tempo, sostituite dappertutto dalle grandi catene, poi megastore? E che cosa trova lei nelle nostre megalibrerie se non sempre e soltanto gli stessi libri? Io stesso oramai compro su Amazon, dove trovo quello che cerco, non quello che mi cerca.

So che Andrew Wylie, «l’agente letterario più potente e famoso del mondo», come lo ha recentemente definito un quotidiano italiano*, ha dichiarato che «Amazon non è altro che un camionista digitale, una grande ditta di logistica, trasporto e consegne». Vorrei ricordare al signor Wylie, a cui lo stresso giornale attribuisce in prima pagina il titolo di «padrone degli scrittori»** (non so a lei, ma a me vengono i brividi), che un medium si caratterizza non solo perché conserva l’informazione, ma soprattutto perché la fa viaggiare. Anche una casa editrice non è nient’altro che una ditta di trasporti della cultura. Il signor Wylie era stato del resto intercettato da quel giornale mentre si recava a inaugurare «il biennio in [testuale!] Storytelling Performing Arts della Scuola Holden». Beh, se è così, tutto diventa chiaro.

Il capitalismo muore di capitalismo, è sempre avvenuto e avverrà sempre. Quella che lei chiama l’«editoria tradizionale», cioè i monopoli editoriali generalisti che inanellano libri, giornali, televisioni e case di distribuzione cinematografiche, e vivono di prodotti standardizzati, agenti letterari e scuole di scrittura, ha generato il sistema da cui emerge Amazon. Amazon non è una stortura, è un figlio legittimo dei monopoli editoriali. E i figli legittimi, talvolta, come capitò a Edipo, fanno fuori i loro padri che non riuscirono ad ammazzarli per tempo.

 

Crede che la diffusione virale di temi culturali sui social network possa rivitalizzare l’editoria?

No, rivitalizzerà se mai solo gli utenti della rete, che vive di tutto ciò che viene dato innanzi tutto gratis. I monopoli editoriali sono destinati a sparire, come sono scomparse, o si sono piuttosto ridimensionate, le grandi etichette discografiche, a dispetto del povero signor Wylie, che rappresenta anche Bob Dylan e David Bowie, sempre che non ne sia invece il «padrone»… Ci sarà spazio solo per le piccole case editrici intelligenti, che sapranno ricercare il cosiddetto mercato di nicchia. È questa l’economia digitale. Con gli e-book non si possono fare le pile nei megastore. Il che vuol dire che scompariranno i bestseller, sostituiti naturalmente da quelle opere che durano nel tempo. Non mi sembra brutta come prospettiva. Magari gli scrittori non camperanno più di scrittura, come certo non guadagnavano con la vendita delle loro opere prima del Settecento, quando fu inventato il copyright. Dante non viveva di diritti d’autore, e nemmeno Cervantes. Eppure li si legge ancora. Gli scrittori dovranno tornare a lavorare, come tutti. L’arte è un impegno civile, non una professione.



* Repubblica, 9 ottobre 2014.

** Il titolo esatto, di spalla, recita: «Il padrone degli scrittori: “Fermeremo il camion di Amazon”». Non mi risulta che nessuno abbia sobbalzato al candore dell’ignoto titolatore. Che un agente letterario sia oramai il «padrone» dello scrittore che lo ingaggia, è sotto gli occhi di tutti. Ma nessuno aveva prima d’ora osato dirlo con tanta chiarezza, e in prima pagina.


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